Mi ero messo in tasca un vecchio libro di poesie, recuperato su qualche bancarella molti anni prima; avevo tutta l'intenzione di leggerlo, ma poi è rimasto su uno scaffale ed è tornato fuori quando ha voluto lui.
E' un'antologia di poeti barocchi, ci sono gli italiani e gli spagnoli perché è il primo volume; e ci sono tante cose belle, di quelle che a scuola facevano spavento e che invece col tempo ho imparato ad amare.
Lo sfoglio con piacere, un po' deluso perché magari cercavo questo e quello e non li trovo; e infine trovo Luis de Gòngora y Argote (1561-1627). Le note dicono che fu cappellano di Filippo III, e questi sono i suoi versi, che trattano di un tema che più barocco non si può: lo scorrere del tempo.
Qué importa, ¡ tiempo tirano ! , aquel calabozo estrecho que de vidrio te hemos hecho para tenerte en la mano, si el detenerte es vano, y siempre de tì està ajena, cuando màs piensa que llena, nuestra vida, a cuya voz huyes cual tiempo veloz y sordo como en arena? |
Cosa conta, tempo tiranno, la ristretta prigione che di vetro t'abbiamo costruito per tenerti nella mano se trattenerti è vano e sempre di te è vuota quando più pensi piena la nostra vita, alla cui voce fuggi qual tempo veloce e sordo come nell'arena? |
Si quiero por las estrellas saber, tiempo, donde estàs, miro que con ellas vas, pero no vuelves con ellas. A donde imprimes tus huellas, que con tu curso no doy? Mas, ¡ ay ! , que engañado estoy, que vuelas, corres y ruedas: tù eres, tiempo, el que te quedas, y yo soy el que me voy. |
Se voglio attraverso le stelle sapere, tempo, dove sei, vedo che vai con loro, ma con loro non torni. Dove imprimi le tue orme, che non ritrovo il tuo cammino? Ma ahimè, m'inganno ! che tu voli, corri, rotoli via: tempo, sei tu che resti, ed io che volo via. |
20 novembre 2002